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Don Mimì Scola, l’uomo che “spennellava” gli alberi

Leggendaria era la sua “colorata” e a volte “colorita” spontaneità, che a volte riusciva a manifestare semplicemente con un sorriso o un movimento delle labbra, senza l’accompagnamento di alcuna parola. Neppure una lettera dell’alfabeto pronunciata.

Don Mimì Scola non era un uomo comune. Non era comune neppure come pilota. Sia come uomo sia come pilota si distingueva subito da tutti gli altri, sin dalla prima parola che seguiva il “buon giorno a te”. Perché “Don Mimì” Scola (nelle foto di Gianni Tomazzoni) dava sempre del tu quando era sul tracciato di una gara. Quando parlava non era mai fuori luogo. Tantomeno banale. Spesso ironico e pungente, anche con i figli, si esprimeva di più con gli occhi che con le parole, ma bisognava conoscerlo. Il suo sguardo era penetrante, nonostante cercasse di nasconderlo dietro gli occhialetti tondeggianti e scuri.

Leggendaria era la sua “colorata” e a volte “colorita” spontaneità, che a volte riusciva a manifestare semplicemente con un sorriso o un movimento delle labbra, senza l’accompagnamento di alcuna parola. Neppure una lettera dell’alfabeto pronunciata. Come leggendario era il suo stile, la sua umiltà, il suo aplomb, la sua classe, la sua risata coinvolgente e la sua pacatezza. Domenico Scola, classe 1930, un omone alto e con questi occhiali sempre scuri che celavano uno sguardo profondo e attento, se ne andò di martedì, un 23 febbraio, aveva quasi 86 anni. Sono certo che, lassù, starà ancora correndo, magari con l’Osella, magari con Fabio Danti.

Don Mimì Scola o anche il Lupo della Sila (soprannome che gli derivava dal numero di vittorie ottenute nella Coppa Sila: 9 di classe e 6 assolute) non era fatto per una vita sedentaria e tranquilla, e lo sapevano bene i suoi genitori, a cui “strappò” il permesso per correre nel 1948, con tanto di atto notarile. E dire che Domenico Scola, all’epoca, quando era giovane per intenderci, era uno dei ragazzi più corteggiati della città di Cosenza. Ma giustamente, a lui interessavano le auto.

Don Mimì Scola
Don Mimì Scola

Amato sì, invidiato pure

“Non c’è sensazione più bella di sfrecciare grazie a 300 e passa cavalli a velocità inaudita e rasentare i guard-rail, i tronchi dei pini e degli abeti…”, mi raccontava durante i nostri caffè infrasettimanali (la redazione in cui lavoravo distava 500 metri dalla sua concessionaria di auto). Domenico Scola era noto in tutta Italia e anche all’estero, alla stragrande maggioranza dei piloti, ma soprattutto era adorato e anche un po’ invidiato in qualunque angolo della sua amatissima Calabria, terra strana, spesso ingrata, che mai volle abbandonare.

In particolare, era e resta un motivo di orgoglio e di vanto per la provincia di Cosenza. Un volto pulito, finito sui giornali per meriti sportivi. Parlare con lui significava immergersi nella “grande storia delle corse”. Grazie alla sua memoria biblica ti faceva dimenticare lo scorrere delle ore sia che lo si incontrava a Celico, sulla linea di partenza della Coppa Sila o della Salita della Sila, sia che lo si incontrava nella concessionaria di automobili del figlio Carlo, dove in realtà lavorava come e più di tutti curando al meglio le pubbliche relazioni e offrendo a chiunque passasse di la un buon caffè. “Io per oggi ne ho già bevuto uno e ne posso bere più, che sennò mio figlio Emilio, “u dutturi”, s’arrabbia”.

Il figlio Emilio e l’altro figlio Carlo (che correvano pure contro di lui), il nipote Domenico. Tutti con le corse nel sangue. Tutti veloci, bravi, precisi. Ma soprattutto, umili.

Il Papa e il Presidente

Icona nazionale delle cronoscalate e “cronoman” per antonomasia, “Don Mimì” era il pilota che portava in sé epoche passate, come i primi anni Settanta, periodo in cui i piloti erano considerati degli eroi. E infatti, quando nel 1972 vinse il Campionato Italiano Velocità Montagna, fu ricevuto in udienza privata da Papa Paolo VI e dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone.

Scola, con le sue gesta, ha scritto ben oltre quarant’anni di storia dello sport dell’auto, costellando di vittorie dal sapore romantico e di sfide epiche ogni tracciato del Belpaese. Dai confini con la Slovenia fino all’estrema punta sud ovest della Sicilia. Non si contano le vittorie di “Don Mimì” e anche lui, ad un certo punto della sua vita, aveva smesso di contarle. Quel che è certo è che ha collezionato successi al volante dei più potenti e prestigiosi prototipi da corsa. Non c’è tracciato di una cronoscalata dove non riecheggi un’impresa del pilota cosentino, abbinata alla sua cortesia e la gentilezza. Uno degli ultimi arriva nel 2005, a 75 anni: vince il titolo tricolore nella serie riservata alle vetture del Gruppo E2, portando ad 88 le sue vittorie assolute.

Don Mimì Scola, Osella
Don Mimì Scola, Osella

La passione non ha soste

La sua passione non ha mai conosciuto limiti, tantomeno soste. Appena c’era un aggiornamento tecnico per le sue vetture, doveva sperimentarlo. Doveva infilare casco e guanti e tirare fuori il leone che era in lui. L’età anagrafica è sempre stata considerata secondaria a tutto. “Don Mimì” ha impugnato il volante fino al 2012, anno in cui ad Orvieto questa volta, al posto di sfidarsi con i figli Emilio e Carlo, gareggiava contro il nipote che porta il suo stesso nome (figlio di Carlo), che quel giorno colse la sua prima vittoria assoluta.

Sempre quell’anno, ad 82 anni suonati, si presenta al via della Morano-Campotenese, gara che disputava da giovane e in cui compie la memorabile impresa di cercare la prestazione assoluta al volante della sua Osella, incurante della pioggia che si abbatteva sui tornanti del Monte Pollino. Una passione così radicata non poteva non essere contagiosa. E quelle continue sfide in famiglia tra padre e figli hanno contribuito ad alimentare la leggenda degli Scola in Calabria.

Ma vennero prima le moto

In realtà, “Don Mimì” non iniziò a correre con le auto. Il debutto assoluto lo vide gareggiare nel 1946 con le due ruote, con una Moto Morini. Solo due anni più tardi, compiuto il diciottesimo anno d’età, passò alle quattro ruote a motore – Fiat Topolino, 1.100/103 TV, Alfa Romeo Giulietta, SZ, Simca Abarth 1.300 e Abarth 2.000, tutti i modelli della Chevron, March, Osella – e dopo 58 anni di gare, dieci anni fa, quando il conto delle gare e delle vittorie si è interrotto, aveva collezionato “500 vittorie tra assolute e di classe e più di 2.000 trofei”, mi raccontava quando ancora era in attività.

“Nel 1972 vinsi il primo titolo assoluto del Campionato Italiano della Montagna e, nello stesso anno, com’era tradizione all’epoca, fui premiato dal Papa Paolo VI e dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone, ma poco lo ricordano. Nel 1992, Maria Teresa Ruta mi ha consegnato il Premio Pericle d’Oro a Crotone”.

Ma queste cose, umile com’era, le confidava agli amici più vicini, non ne faceva mai vanto. “Non sarebbe bello vantarsi…”. Ciao, “Don Mimì”. Dopo tanti anni siamo certi che resterai ancora a lungo un faro luminoso in questa vita in tempesta.