Parigi-Dakar, 45 anni l’inizio del mito

Nel gennaio del 1979 si corse la prima edizione della competizione africana nata dalla mente di Thierry Sabine. Il motociclista Cyril Neveu il primo di una classifica che metteva insieme moto e camion

È il 14 gennaio 1979, 45 anni fa. Mentre, in quell’inverno costruttori e “garagisti” della Formula 1 cercano di trovare le contromisure all’effetto suolo portato in pista dalle Lotus di Colin Chapman ed il mondo dei rally si prepara alla nuova stagione che presenta la novità del primo Campionato del Mondo Piloti, sulle rive del Lago Rosa nei pressi di Dakar, in Senegal un gruppo di centauri e di piloti, esausti e sporchi, fanno festa. Sono quelli che ce l’hanno fatta, quelli che hanno portato a termine una pazzia voluta da uno pazzo visionario come loro, Thierry Sabine. Quel 14 gennaio 1979 si è conclusa la prima edizione della Parigi-Dakar.

Un’avventura ancora prima che una gara, una sfida a sé stessi ancora prima che agli avversari, una lotta contro la natura prima che contro il cronometro. Solo chi lo ha vissuto conosce davvero il mal d’Africa. Quella strana sensazione che ti prende nel profondo quando ti avventuri in quell’immenso continente e che, quando lo lasci, fa si che tu voglia tornarci il prima possibile. E non basta rischiare la vita per odiare l’Africa, non sono bastati a Thierry Sabine tre giorni nel deserto libico senza cibo e acqua per fuggire lontano da quel continente.

Francese classe 1949, è il figlio di un dentista appassionato di automobilismo e lo stesso Thierry inizia ben presto a correre sia in pista che nei rally. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio del decennio successivo prende parte a diverse gare – comprese alcune edizioni del Rallye di Monte-Carlo – per lo più con un’Alpine A110 1300 ed una Porsche 911 ottenendo, peraltro, qualche risultato interessante. Ma Thierry Sabine vuole qualcosa in più, vuole l’avventura, cerca le emozioni. Nel gennaio 1977 un altro visionario come lui, Jean-Claude Bertrand, organizza il Rallye Côte-Côte, da Abidjian in Costa d’Avorio a Nizza, in Costa Azzurra. Sabine si iscrive con una moto, in una squadra con tre amici. Si perde nel deserto al confine tra Tenerè e la Libia, in un luogo chiamato “La montagna nera”. Thierry abbandona la sua moto senza benzina, cammina per tre giorni senza acqua o cibo fino a quando non viene recuperato in condizioni critiche il 14 gennaio da Jean-Michel Sinet, il pilota del piccolo aereo inviato da Bertrand alla sua ricerca. Sabine aveva pensato di non uscire vivo dal deserto ma quell’episodio lo lega per sempre all’Africa ed al deserto.

Quando Bertrand annuncia che non organizzerà una nuova edizione della sua competizione, Sabine decide dare vita ad un suo evento. Il progetto prevede che i concorrenti – moto, auto e camion in classifica unica – partano da Parigi per arrivare fino a Dakar, la capitale del Senegal. La bevanda a base di frutta Oasis e alcune riviste francesi lo appoggiano e finalmente il 26 dicembre 1978 la prima Parigi-Dakar parte dal Trocadero con la Tour Eiffel sullo sfondo. È una gara di tre settimane che prevede 10.000 km (3.168 sono quelli cronometrati) in Africa attraverso cinque Paesi. Dopo le prime due tappe in Francia, il 28 dicembre la carovana si imbarca per l’Africa a Marsiglia per sbarcare ad Algeri il 31 dicembre. Dall’Algeria passando per il deserto del Tenéré si arriva in Niger prima di toccare il Mali e poi, finalmente, il Senegal con arrivo finale il 14 gennaio a Dakar.

Gli iscritti sono 182, nello specifico 90 moto, 80 auto e 12 camion. Saranno solo 74 i concorrenti che arriveranno in fondo. Quella prima edizione parla soprattutto francese. Sonauto, l’importatore Yamaha, schiera delle XT500 per specialisti di enduro come Gilles Comte e Christian Rayer mentre con delle Yamaha private ci sono Cyril Neveu e Hubert Auriol. Lo specialista “Fenouil” ha scelto una BMW, Daniel Piton si affida a una Kawasaki. Tra le auto i nomi di spicco sono Christian Pouchelon (Renault 30 TS), i fratelli Claude e Bernard Marreau (Renault 4 Sinpar) e Renè Metge con una Range Rover come Christophe Neveu, fratello di Cyril. Ci sono anche sette donne, tutte in moto: Martine de Cortanze, Pascale Geurie, Martine Rénier, Marido Cousin, Christine Martin-Lefort, Marie Ertaud e Corinne Koppenhague.

Già in quella prima edizione ci sono personaggi singolari. Come Philippe Hayat, giornalista e avventuriero trentanovenne che assieme a Jean-Pierre Domblide, insegnante, e ad Daniel Nolan, tecnico Renault, decide di partire con una Renault KZ 11 CV, lo stesso modello con cui il comandante Etienne in 36 giorni da Orano aveva raggiunto Città del Capo nel gennaio 1927. L’assistenza medica è garantita da alcune Peugeot 504 a due ruote motrici mentre l’informazione è affidata a 20 giornalisti in rappresentanza di 13 testate. La parte del leone la fa radio RTL (l’ex Radio Luxembourg): ogni sera, dalle 20:30 alle 22, Max Meynier dalla sua Toyota Land Cruiser racconta gli eventi della giornata ed intervista i protagonisti.
Il prologo del 26 dicembre è di appena 3,6 km a Monthléry su un terreno militare: vincono Neveu su Range Rover e Desnoyers su Honda. Da qui i concorrenti si dirigono verso Marsiglia dove si imbarcano per l’Africa.

La Algeri-Tamanrasset (2.370 km di cui 270 km di speciale) è vinta da Jacky Privé (Range Rover) davanti alla vettura gemella di Christophe Neveu ed a Christian Rayer su Yamaha XT 500. Terza tappa è la Tamanrasset-Agadez di 870 km con tre speciali. La Tamanrasset-In Guezzam di 373 km è preda della Range Rover di Neveu-Gaignault, la Assemaka-Arlit di 230 km premia Daurageon-Prechet su Renault ma la prova più terribile sono i 231 km tra Arlit e Agadez: un quarto dei concorrenti si perde nel cuore dell’Aïr mentre le moto ne approfittano per monopolizzare la classifica occupando i primi dodici posti di tappa e i primi tre della generale. Prima vettura, la Peugeot 504 dei corsi Moreau-Touya. Jean-Claude Olivier (Yamaha) vince la tappa e Patrick Schaal diventa leader della classifica generale. La quarta tappa è la Agadez-Niamey di 920 km di cui 230 della speciale Tahoua-Talchot che provoca rotture in serie tra i mezzi in gara, in Niger non arriva Jean-Claude Olivier che si rompe un polso sbattendo contro la Range Rover di Christophe Neveu che viene escluso dalla corsa. Stessa punizione per Christian Desnoyers, campione francese di trial 1978, e per Houel-Pouchelon con la loro R30. Resiste invece la Renault KZ del 1927.

La quinta tappa, la Niamey-Gao (448 km) viene neutralizzata così i concorrenti possono tirare il fiato prima della Gao-Bamako di 1250 km che prevede i 600 km di speciale della Gao-Mopti. Schaal cade e si procura una frattura esposta del mignolo. Il motociclista Cyril Neveu prende il comando del rally. La tappa 7, la Bamako-Nioro di 417 km, è un’unica speciale e nel Sahel solo un concorrente arriva senza penalità al traguardo: è Philippe Vassard, in sella alla sua Honda. Ma c’è gloria anche per l’Italia: Cesare Giraudo ed Antonio Cavalleri con la loro Fiat Campagnola sono i migliori tra le auto ed entrano tra i primi dieci della generale mentre si ferma la Renault KZ. La frazione conclusiva è la Nioro-Dakar di 866 km con i 96 km di speciale da Bakel al Lago Rosa. È una passerella per i 74 veicoli superstiti.

La classifica finale vede vittorioso Cyril Neveu su Yamaha davanti all’altra giapponese di Gilles Comte ed alla Honda di Philippe Vassard. I primi in auto sono Genestier-Terblaut-Lemordant, quarti con una Range Rover V8 davanti ai fratelli Marreau con la Renault 4 Sinpar a quattro ruote motrici. Nella top ten ci sono anche gli italiani: Cavalleri-Giraudo sono settimi assoluti e terzi tra le auto con una Fiat Campagnola, stessa vettura per Tommaso ed Amarilli Carletti, noni. Posizione numero 17 per la Campagnola di Tocci-Fucci mentre Arbizzi-Crappolo chiudono trentunesimi. La prima donna al traguardo è Martine de Cortanze, finisce in 19esima posizione a bordo di una Honda 250 XLS, il primo camion è lo Steyr-Puch Pinzgauer 6X6 di Dunac-Beau-Chapel che chiudono 44esimi. L’epopea della Parigi-Dakar è iniziata.