Rally: quattro anni senza Lele Pinto
Era l’8 dicembre del 2020 quando terminava il cammino del pilota comasco, il primo italiano a vincere una gara del Campionato del Mondo. Anche a lui si deve lo sviluppo della Lancia Delta che conquistò sei titoli iridati.
L’8 dicembre del 2020, quattro anni fa, Raffaele “Lele” Pinto si è spento dopo mesi di sofferenza, lasciando un vuoto nel cuore degli appassionati di motori. Era più di un pilota: un simbolo di passione, dedizione e genialità tecnica. La sua vita, un intreccio di successi e sfide, ha avuto come filo conduttore un amore incondizionato per il volante e per l’isola d’Elba, sua casa da anni. Un luogo scelto, forse, per la sua somiglianza con il carattere di Pinto: schietto, diretto, ma profondamente umano.

Gli inizi difficili e l’infanzia segnata dalla malattia
Raffaele Pinto nacque il 13 aprile 1945 a Casnate con Bernate, vicino a Como, in un’Italia devastata dalla guerra. La sua infanzia fu segnata da una battaglia precoce contro la poliomielite, che richiese anni di cure e ben cinque interventi chirurgici per permettergli di camminare di nuovo. Queste difficoltà temprarono il suo spirito e, ottenuta la patente, iniziò a esplorare la sua passione per le automobili.

Dal kart alle prime vittorie con la Fulvia
La carriera di Pinto cominciò con i kart, ma presto passò a una Fiat Abarth 595 preparata da Romeo Ferraris, ottenendo ottimi risultati nelle gare in salita. Nel 1967 fu notato dalla Lancia, che gli offrì un’opportunità. Accanto a Claudio Maglioli, si fece notare al volante della Fulvia Coupé nelle gare in pista m vuola conoscere anche le corse su strada e lo fa alla grande vincendo nel 1969 il Rally Villa d’Este. Il suo casco dorato iniziava a essere un’icona del mondo delle corse.
La svolta con la Fiat e il titolo europeo
Nel 1971, Pinto dopo aver capito che per lui gli spazi erano pochi, lasciò Lancia per la Fiat, un cambiamento cruciale per la sua carriera. Con la 124 Spider dimostrò tutto il suo talento di pilota e collaudatore, trasformandola in una vettura vincente. Nel 1972, insieme a Gino Macaluso, conquistò il titolo europeo di rally, dominando con sei vittorie e due secondi posti. Fu anche l’anno della vittoria nella Mitropa Cup.
La consacrazione mondiale: primo italiano a vincere nel WRC
Il 1974 fu l’anno della consacrazione. Pinto divenne il primo italiano a vincere una gara del Campionato del Mondo Rally, il Rally del Portogallo. La vittoria, ottenuta con Arnaldo Bernacchini, fu un trionfo assoluto, nonostante qualche problema al cambio ed ai freni. Markku Alen ed Alcide Paganelli completarono il podio tutto “made in Fiat”.Tuttavia, lo spirito competitivo di Pinto subì un duro colpo quando, nel rally dell’Elba, gli fu chiesto di cedere la vittoria a Maurizio Verini, in lotta per il titolo europeo.
Gli anni con Lancia e la Stratos
Nel 1975, Pinto tornò alla Lancia per contribuire allo sviluppo della mitica Stratos. Con Bernacchini, si fece notare per vittorie come il Rally di Sicilia e la Coppa Liburna. Tuttavia, la sua carriera si trovò spesso ostacolata da decisioni di scuderia, come al Tour de Corse del 1977, dove gli fu impedito di vincere per lasciare il successo alla Fiat 131 Abarth di Jean-Claude Andruet. La telefonata di Cesare Fiorio che lo escluse dai programmi del 1978 segnò la fine di un’era.
Il capitolo Ferrari e la rinascita come collaudatore
A 33 anni, Pinto trovò nuova linfa come collaudatore e sviluppatore. Con Michelotto, lavorò alla Ferrari 308 GTB, trasformandola in una vettura temuta nei rally. Anche se il volante non era più la sua priorità, continuò a collaborare con team di prestigio. Negli anni ’80, tornò alla Lancia per lavorare sullo sviluppo delle Delta, contribuendo al loro successo mondiale, prendendo il posto di Giorgio Pianta, passato a dirigere Alfa Corse.
Un addio difficile
Lele Pinto non è stato solo un grande pilota, ma un uomo che ha saputo reinventarsi. Amato e rispettato, ha lasciato un’eredità tecnica e umana inestimabile. Oggi lo ricordiamo per il suo coraggio, il suo piede pesante, e il suo cuore grande. Ciao Lele, e grazie per averci fatto sognare.